The Pope recently said that taking away feeding tubes from patients in
vegetative states is immoral. I've found the text of his speech in
Italian (it's included below), but the online computer translations
are inadequate. However, different news services are reporting on it,
which suggests that there is a human translation out there somewhere.
Where can I find it?
UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE SU "I TRATTAMENTI
DI SOSTEGNO VITALE E LO STATO VEGETATIVO. PROGRESSI SCIENTIFICI E
DILEMMI ETICI" (17-20 MARZO 2004, AUGUSTINIANUM)
A fine mattina, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto in
Udienza i partecipanti al Congresso Internazionale su "I trattamenti
di sostegno vitale e lo stato vegetativo. Progressi scientifici e
dilemmi etici" (17-20 marzo 2004, Augustinianum), organizzato e
promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei
Medici Cattolici (FIAMC), e dalla Pontificia Accademia per la Vita.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti
nel corso dell?incontro:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Illustri Signore e Signori!
1. Saluto molto cordialmente tutti voi partecipanti al Congresso
Internazionale "Life-Sustaining Treatments and Vegetative State:
Scientific Advances and Ethical Dilemmas". Un saluto particolare
desidero rivolgere a Mons. Elio Sgreccia, Vice-Presidente della
Pontificia Accademia per la Vita, ed al Professor Gian Luigi Gigli,
Presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni dei
Medici Cattolici e generoso paladino del fondamentale valore della
vita, il quale s?è fatto amabilmente interprete dei comuni sentimenti.
Questo importante Congresso, organizzato insieme dalla Pontificia
Accademia per la Vita e dalla Federazione Internazionale delle
Associazioni dei Medici Cattolici, sta affrontando un tema di grande
rilevanza: la condizione clinica denominata "stato vegetativo". I
complessi risvolti scientifici, etici, sociali e pastorali di tale
condizione necessitano di una profonda riflessione e di un proficuo
dialogo interdisciplinare, così come dimostra il denso ed articolato
programma dei vostri lavori.
2. La Chiesa con viva stima e sincera speranza incoraggia gli sforzi
degli uomini di scienza che dedicano quotidianamente, talvolta con
grandi sacrifici, il loro impegno di studio e di ricerca per il
miglioramento delle possibilità diagnostiche, terapeutiche,
prognostiche e riabilitative nei confronti di questi pazienti
totalmente affidati a chi li cura e li assiste. La persona in stato
vegetativo, infatti, non dà alcun segno evidente di coscienza di sé o
di consapevolezza dell'ambiente e sembra incapace di interagire con
gli altri o di reagire a stimoli adeguati.
Gli studiosi avvertono che è necessario anzitutto pervenire ad una
corretta diagnosi, che normalmente richiede una lunga ed attenta
osservazione in centri specializzati, tenuto conto anche dell'alto
numero di errori diagnostici riportati in letteratura. Non poche di
queste persone, poi, con cure appropriate e con programmi di
riabilitazione mirati, sono in grado di uscire dal coma. Molti altri,
al contrario, restano purtroppo prigionieri del loro stato anche per
tempi molto lunghi e senza necessitare di supporti tecnologici.
In particolare, per indicare la condizione di coloro il cui "stato
vegetativo" si prolunga per oltre un anno, è stato coniato il termine
di stato vegetativo permanente. In realtà, a tale definizione non
corrisponde una diversa diagnosi, ma solo un giudizio di previsione
convenzionale, relativo al fatto che la ripresa del paziente è,
statisticamente parlando, sempre più difficile quanto più la
condizione di stato vegetativo si prolunga nel tempo.
Tuttavia, non va dimenticato o sottovalutato come siano ben
documentati casi di recupero almeno parziale, anche a distanza di
molti anni, tanto da far affermare che la scienza medica, fino ad
oggi, non è ancora in grado di predire con sicurezza chi tra i
pazienti in queste condizioni potrà riprendersi e chi no.
3. Di fronte ad un paziente in simili condizioni cliniche, non manca
chi giunge a mettere in dubbio il permanere della sua stessa "qualità
umana", quasi come se l'aggettivo "vegetale" (il cui uso è ormai
consolidato), simbolicamente descrittivo di uno stato clinico, potesse
o dovesse essere invece riferito al malato in quanto tale,
degradandone di fatto il valore e la dignità personale. In questo
senso, va rilevato come il termine in parola, pur confinato
nell'ambito clinico, non sia certamente il più felice in riferimento a
soggetti umani.
In opposizione a simili tendenze di pensiero, sento il dovere di
riaffermare con vigore che il valore intrinseco e la personale dignità
di ogni essere umano non mutano, qualunque siano le circostanze
concrete della sua vita. Un uomo, anche se gravemente malato od
impedito nell'esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre
un uomo, mai diventerà un "vegetale" o un "animale".
Anche i nostri fratelli e sorelle che si trovano nella condizione
clinica dello "stato vegetativo" conservano tutta intera la loro
dignità umana. Lo sguardo amorevole di Dio Padre continua a posarsi su
di loro, riconoscendoli come figli suoi particolarmente bisognosi di
assistenza.
4. Verso queste persone, medici e operatori sanitari, società e Chiesa
hanno doveri morali dai quali non possono esimersi, senza venir meno
alle esigenze sia della deontologia professionale che della
solidarietà umana e cristiana.
L'ammalato in stato vegetativo, in attesa del recupero o della fine
naturale, ha dunque diritto ad una assistenza sanitaria di base
(nutrizione, idratazione, igiene, riscaldamento, ecc.), ed alla
prevenzione delle complicazioni legate all'allettamento. Egli ha
diritto anche ad un intervento riabilitativo mirato ed al monitoraggio
dei segni clinici di eventuale ripresa.
In particolare, vorrei sottolineare come la somministrazione di acqua
e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre
un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. Il
suo uso pertanto sarà da considerarsi, in linea di principio,
ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella
misura in cui e fino a quando esso dimostra di raggiungere la sua
finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare
nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze.
L'obbligo di non far mancare "le cure normali dovute all'ammalato in
simili casi" (Congr. Dottr. Fede, Iura et bona, p. IV) comprende,
infatti, anche l'impiego dell'alimentazione e idratazione (cfr Pont.
Cons. «Cor Unum », Dans le cadre, 2.4.4; Pont. Cons. Past . Operat.
Sanit., Carta degli Operatori Sanitari, n. 120). La valutazione delle
probabilità, fondata sulle scarse speranze di recupero quando lo stato
vegetativo si prolunga oltre un anno, non può giustificare eticamente
l'abbandono o l'interruzione delle cure minimali al paziente, comprese
alimentazione ed idratazione. La morte per fame e per sete, infatti, è
l'unico risultato possibile in seguito alla loro sospensione. In tal
senso essa finisce per configurarsi, se consapevolmente e
deliberatamente effettuata, come una vera e propria eutanasia per
omissione.
A tal proposito, ricordo quanto ho scritto nell'Enciclica Evangelium
vitae, chiarendo che "per eutanasia in senso vero e proprio si deve
intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle
intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore"; una
tale azione rappresenta sempre "una grave violazione della Legge di
Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una
persona umana" (n. 65).
Del resto, è noto il principio morale secondo cui anche il semplice
dubbio di essere in presenza di una persona viva già pone l'obbligo
del suo pieno rispetto e dell'astensione da qualunque azione mirante
ad anticipare la sua morte.
5. Su tale riferimento generale non possono prevalere considerazioni
circa la "qualità della vita", spesso dettate in realtà da pressioni
di carattere psicologico, sociale ed economico.
Innanzitutto, nessuna valutazione di costi può prevalere sul valore
del fondamentale bene che si cerca di proteggere, la vita umana.
Inoltre, ammettere che si possa decidere della vita dell'uomo sulla
base di un riconoscimento dall'esterno della sua qualità, equivale a
riconoscere che a qualsiasi soggetto possano essere attribuiti
dall'esterno livelli crescenti o decrescenti di qualità della vita e
quindi di dignità umana, introducendo un principio discriminatorio ed
eugenetico nelle relazioni sociali.
Inoltre, non è possibile escludere a priori che la sottrazione
dell'alimentazione e idratazione, secondo quanto riportato da seri
studi, sia causa di grandi sofferenze per il soggetto malato, anche se
noi possiamo vederne solo le reazioni a livello di sistema nervoso
autonomo o di mimica. Le moderne tecniche di neurofisiologia clinica e
di diagnosi cerebrale per immagini, infatti, sembrano indicare il
perdurare in questi pazienti di forme elementari di comunicazione e di
analisi degli stimoli.
6. Non basta, tuttavia, riaffermare il principio generale secondo cui
il valore della vita di un uomo non può essere sottoposto ad un
giudizio di qualità espresso da altri uomini; è necessario promuovere
azioni positive per contrastare le pressioni per la sospensione della
idratazione e della nutrizione, come mezzo per porre fine alla vita di
questi pazienti.
Occorre innanzitutto sostenere le famiglie, che hanno avuto un loro
caro colpito da questa terribile condizione clinica. Esse non possono
essere lasciate sole col loro pesante carico umano, psicologico ed
economico. Benché l'assistenza a questi pazienti non sia in genere
particolarmente costosa, la società deve impegnare risorse sufficienti
per la cura di questo tipo di fragilità, attraverso la realizzazione
di opportune iniziative concrete quali, ad esempio, la creazione di
una rete capillare di unità di risveglio, con programmi specifici di
assistenza e riabilitazione; il sostegno economico e l'assistenza
domiciliare alle famiglie, quando il paziente verrà trasferito a
domicilio al termine dei programmi di riabilitazione intensiva; la
creazione di strutture di accoglienza per i casi in cui non vi sia una
famiglia in grado di fare fronte al problema o per offrire periodi di
"pausa" assistenziale alle famiglie a rischio di logoramento
psicologico e morale.
L'assistenza appropriata a questi pazienti e alle loro famiglie
dovrebbe, inoltre, prevedere la presenza e la testimonianza del medico
e dell'équipe assistenziale, ai quali è chiesto di far comprendere ai
familiari che si è loro alleati e che si lotta con loro; anche la
partecipazione del volontariato rappresenta un sostegno fondamentale
per far uscire la famiglia dall'isolamento ed aiutarla a sentirsi
parte preziosa e non abbandonata della trama sociale.
In queste situazioni, poi, riveste particolare importanza la
consulenza spirituale e l'aiuto pastorale, come ausilio per recuperare
il significato più profondo di una condizione apparentemente
disperata.
7. Illustri Signore e Signori, in conclusione vi esorto, come persone
di scienza, responsabili della dignità della professione medica, a
custodire gelosamente il principio secondo cui vero compito della
medicina è di "guarire se possibile, aver cura sempre" (to cure if
possibile, always to care).
A suggello e sostegno di questa vostra autentica missione umanitaria
di conforto e di assistenza verso i fratelli sofferenti, vi ricordo le
parole di Gesù: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste
cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a
me" (Mt 25,40).
In questa luce, invoco su di voi l?assistenza di Colui che una
suggestiva formula patristica qualifica come Christus medicus e,
nell?affidare il vostro lavoro alla protezione di Maria, Consolatrice
degli afflitti e conforto dei morenti, a tutti imparto con affetto una
speciale Benedizione Apostolica. |